Esistono molte definizioni di “comunicazione” a seconda del punto da cui si osserva il fenomeno: quelle del linguista e del semiologo non sono certo le stesse del sociologo, dello studioso di comunicazione aziendale o del massmediologo. Per i nostri fini abbiamo optato per una definizione estremamente semplice e l’abbiamo posta nel titoletto del paragrafo. Le quattro parole scelte per il titolo sono fondamentali, come in ogni definizione, e quindi mette conto discuterle in dettaglio.
Comunicare
Questo verbo descrive l’atto volontario, programmato, consapevole di scambiare messaggi per perseguire il proprio fine.
La comunicazione non va confusa con l’informazione, che di solito è involontaria ed è costituita da “sintomi” e “segnali” (un tuono è un sintomo che ci informa dell’arrivo di un temporale; l’arrossire o il sudore sono segnali che informano il nostro interlocutore del nostro stato d’animo). Sintomi e segnali non sono volontari e intenzionali, mentre lo sono i segni di cui si sostanzia la comunicazione, tant’è vero che per i propri fini (cioè per scambiare messaggi vincenti) una persona può anche mentire, cioè inviare segni falsi, mentre non si può falsificare l’informazione.
Scambiare
Comunicare non significa “inviare dei segni monodirezionali”, compiere degli atti comunicativi in solitudine: secondo la saggezza popolare, infatti, parlare da soli è un segno di follia.
Il saggista che sa scrivere si pone il problema della chiarezza concettuale ed espositiva che facilita il compito del lettore, della necessità di definire i termini che forse il lettore non conosce, e così via: il lettore, per quanto implicito, è ben presente nella mente di chi sa comunicare per iscritto.
Messaggi
Non ci si scambia solo parole: ciò che viene scambiato tra i partecipanti ad un evento comunicativo è un messaggio, cioè una struttura complessa composta di lingua verbale e di linguaggi non verbali: gesti, grafici, icone, oggetti, indicatori di ruoli sociali, layout grafico, ecc.
Il messaggio orale viene creato in maniera cooperativa per cui i vari interlocutori collaborano alla sua creazione, negoziano significati e linguaggi per giungere ad un messaggio conclusivo accettato da tutti, mentre nel messaggio scritto ¾ tranne in scritture interattive come, ad esempio, quella consentita dalle chat lines di Internet o dalla posta elettronica ¾ questa negoziazione non è possibile.
Vincenti
Si comunica per raggiungere effetti pragmatici ben precisi; nella comunicazione aziendale, “vincere” significa far prevalere il proprio punto di vista sull’organizzazione dell’azienda, sulle priorità strategiche, sui metodi di progettazione e produzione, sulle prospettive di commercializzazione, sui prezzi da spuntare, e così via.
Nella comunicazione (apparentemente) monodirezionale il conferenziere o lo scrittore lottano per vincere la noia o le distrazioni degli ascoltatori e dei lettori; vinta questa prima battaglia, la loro vittoria definitiva si realizza quando l’ascoltatore o il lettore accettano, data la forza del messaggio, di modificare le proprie idee, di ridisegnare l’architettura della propria conoscenza.
Comunicazione vs Espressione
Abbiamo già visto sopra la contrapposizione tra comunicazione intenzionale e informazione non intenzionale; è necessario sgombrare il campo anche da un’altra contrapposizione che può risultare ambigua: quella tra comunicazione ed espressione.
Oggi si tende a riproporre la dicotomia: la differenza tra le due nozioni sta nel fatto che nella “comunicazione” l’atto di discorso, cioè la decisione di creare un messaggio, prevede un destinatario intenzionalmente individuato ed avviene per uno scopo sociale, mentre nella “espressione” non si parla o scrive a qualcuno per produrre un risultato pragmatico, ma il tutto si esaurisce nell’atto stesso di produrre il testo (o il quadro, la canzone, ecc.,): una lettera sulla propria evoluzione è “comunicazione”, una poesia sulla stessa evoluzione è “espressione”.